«Scandalo, perdono e fede»: sono le tre parole, strettamente
collegate tra loro, proposte dal Papa nella messa celebrata lunedì
mattina, 10 novembre, nella cappella della Casa Santa Marta. Parole che
Francesco ha ricavato dal brano liturgico del Vangelo di Luca (17, 1-6),
dove appunto «si parla di tre cose: lo scandalo, il perdono e la fede».
Queste, ha fatto notare, «sono tre parole di Gesù: forse non sono state
dette insieme, allo stesso tempo, ma l’evangelista le mette insieme».
Di qui il filo conduttore della riflessione del Pontefice. Il primo dei
termini su cui si è soffermato il Papa è «lo scandalo».
«A me — ha confidato — colpisce come Gesù finisce» il suo discorso:
dopo aver parlato dello scandalo dice infatti: «State attenti a voi
stessi!».
Usa, dunque, un’e s p re s s i o ne «forte» per chiedere di
«non dare scandalo». È lui stesso a dire, come scrive Luca, che «è
inevitabile che vengano scandali»; ma aggiunge anche: «Guai a colui a
causa del quale vengono!». E più precisamente: «Guai a chi scandalizza
uno di questi piccoli, il popolo di Dio; i deboli nella fede, i bambini,
i giovani, gli anziani che hanno vissuto tutta una vita di fede, guai a
chi scandalizza questi! Meglio morire!». Con questo parlare così
«forte» Gesù si rivolge anche «a noi, ai cristiani». E di conseguenza
«noi dobbiamo farci la domanda: io scandalizzo?». E prima ancora: «cos’è
lo scandalo?». A questo proposito il Papa ha spiegato che lo scandalo
«è dire e professare uno stile di vita — “sono cristiano” — e poi vivere
come un pagano che non crede in nulla». E «questo fa scandalo perché
manca la testimonianza: la fede confessata è vita vissuta». In questo
ragionamento Francesco si è ricollegato alla prima lettura, tratta dalla
Lettera a Tito (1, 19), sottolineando che «Paolo scrive al suo
discepolo, il vescovo Tito, e consiglia come devono comportarsi i
sacerdoti, i vescovi, che sono amministratori di Dio». E «dà alcuni
consigli: il sacerdote — sia prete o vescovo — sia irreprensibile; non
sia arrogante, non vada così guardando tutti dall’alto; non collerico,
ma sia mite; non dedito al vino; spirituale, non spiritoso; che sia non
violento, pacifico; non avido di guadagni disonesti, non attaccato ai
soldi, ma ospitale, amante del bene, assennato, giusto, santo, padrone
di sé, fedele alla parola degna di fede che gli è stata insegnata».
Perché «quando un sacerdote — sia prete o vescovo — non vive così,
scandalizza, fa lo scandalo». E si è portati a fargli notare: «Ma tu sei
maestro, dici una cosa e vivi dell’altra!». Da qui la constatazione del
Papa: «Quanto male fanno al popolo di Dio gli scandali dei sacerdoti,
quanto male! La Chiesa è tanto sofferente per questo!». Queste parole
riguardano i sacerdoti ma sono valide anche «per tutti i cristiani». Per
il fatto di non essere sacerdoti, infatti, non diviene certo «lecito
essere arroganti, collerici, ubriachi». Si tratta dunque di parole
valide «per tutti», ha rimarcato il Pontefice. Si deve tener conto che
«quando un cristiano o una cristiana, che va in chiesa, che va in
parrocchia, non vive così, scandalizza». Del resto, ha insistito
Francesco, «quante volte abbiamo sentito: “Ma io non vado in Chiesa —
uomini e donne — perché è meglio essere onesto a casa o non andare come
quello, quella o quella che vanno in Chiesa e poi fanno questo, questo e
questo...». Così si vede che «lo scandalo distrugge, distrugge la
fede». Ed è «per questo che Gesù è tanto forte» e ripete: «State
attenti, state attenti!». Proprio questa esortazione di Gesù «ci farà
bene ripetere oggi: State attenti a voi stessi!». Perché «tutti noi
siamo capaci di scandalizzare». La seconda parola suggerita da Luca è
«perdono». Gesù, nel Vangelo, «parla del perdono e — ha evidenziato il
Papa — ci consiglia di non stancarci di perdonare: sempre perdonare.
Perché? Perché io sono stato perdonato». Infatti «il primo perdonato
nella mia esistenza sono io. E per questo non ho diritto a non
perdonare: sono costretto, per il perdono ricevuto, a perdonare gli
altri». Dunque, «perdonare: una volta, due, tre, settanta volte sette,
sempre! Anche nello stesso giorno». E qui, ha chiarito il Pontefice,
Gesù in un certo senso «esagera per farci capire l’importanza del
perdono». Perché «un cristiano che non è capace di perdonare
scandalizza: non è cristiano». Tanto che è il caso di dirgli «per
spaventarlo un po’: ma se tu non sei capace di perdonare, non sei
neanche capace di ricevere il perdono di Dio». Insomma, noi «dobbiamo
perdonare» perché siamo stati «perdonati». Questa verità «è nel Padre
Nostro: Gesù lo ha insegnato lì», ha rammentato il Pontefice. Certo, ha
riconosciuto, il discorso del perdono «non si capisce nella logica
umana». Infatti «la logica umana ti porta a non perdonare, alla
vendetta; ti porta all’odio, alla divisione». E così vediamo «quante
famiglie divise per non perdonarsi, quante famiglie! Figli allontanati
dai genitori; marito e moglie allontanati...». Per questa ragione,
allora, «è tanto importante pensare questo: se io non perdono non ho,
sembra che non avrei, diritto a essere perdonato o non ho capito cosa
significa che il Signore mi abbia perdonato». Certo, ha affermato ancora
il Papa, «si capisce che, sentendo queste cose, i discepoli abbiano
detto al Signore: accresci in noi la fede». Infatti «senza la fede non
si può vivere senza scandalizzare e sempre perdonando». Abbiamo bisogno
proprio della «luce della fede, di quella fede che noi abbiamo ricevuto,
della fede di un Padre misericordioso, di un Figlio che ha dato la vita
per noi, di uno Spirito che è dentro di noi e ci aiuta a crescere,
della fede nella Chiesa, della fede nel popolo di Dio, battezzato,
santo». E «questo è un dono: la fede è un regalo. Nessuno — ha detto
Francesco — con i libri, andando a conferenze, può avere la fede». Del
resto, proprio perché «la fede è un regalo di Dio che ti viene, gli
apostoli chiesero a Gesù: Accresci in noi la fede». Il Pontefice ha
concluso suggerendo di riflettere bene su «queste tre parole: lo
scandalo, il perdono e la fede». Per lo scandalo, ha riepilogato, basta
ricordare «soltanto quelle parole di Gesù: state attenti a voi stessi! E
questo è pericoloso»: meglio infatti «essere buttati in mare» che
scandalizzare. Riguardo al perdono, poi, il Papa ha invitato a ricordare
sempre che noi per primi siamo perdonati. E, infine, l’asp etto della
fede, senza la quale, ha ribadito, «non potrei mai portare avanti una
vita senza scandalizzare e una vita di perdono».
© Osservatore Romano 10-11 novembre 2014
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